La legge 222 del 12 giugno 1984 rappresenta il punto di arrivo di una lunga e complessa riforma delle invalidità pensionabili. Il richiamato disposto normativo, nei fatti ha individuato due tutele previdenziali parametrate all’ entità dello stato invalidante:
- a. Assegno ordinario di invalidità (art.1), in presenza di una riduzione a meno di un terzo delle capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle proprie attitudini;
- b. Pensione ordinaria di inabilità (art.2), in presenza di un’impossibilita assoluta e permanente di svolgere qualsiasi attività lavorativa.
La Cassazione civile si è espressa più volte, nell’ ultimo decennio, sulla corretta interpretazione dello stato invalidante pensionabile. Con la sentenza 11656/90 ha individuato la necessità di considerare l’invalidità pensionabile con riferimento a lavoro proficuo e non a generico lavoro.
I giudici della suprema Corte con la recente pronuncia n. 9044 hanno, in modo chiaro ed inequivocabile, definito che l’invalidità pensionabile, ai sensi della citata legge 222/84 non può essere valutata come generica riduzione delle capacità lavorative ma deve essere valutata come riduzione delle capacità di lavoro dell’assicurato in occupazioni ad esso confacenti.
Da ciò ne deriva un necessario e preventivo esame del ricorrente atteso che, la stessa patologia invalidante assume una diversa percentuale di valutazione a secondo delle mansioni lavorative svolte.
L’incidenza invalidante di, ad esempio, una patologia del disco intervertebrale è differente se in presenza di un operaio rispetto a un impiegato.
La Cassazione nella richiamata sentenza si pronuncia anche sulla necessità di valutare l’aggravamento della malattia verificatosi successivamente alla data della domanda amministrativa con la possibilità, di acquisire e vagliare, l’eventuale documentazione che la parte ricorrente ritiene di esibire.
Scarica qui la sentenza della Corte Costituzionale n. 9044 del 20 maggio 2020.